La negoziazione collettiva nel diritto del lavoro giapponese: spiegazione degli obblighi legali e delle pratiche di gestione

Nell’ambiente commerciale giapponese, gli imprenditori possono trovarsi a dover affrontare negoziati collettivi con i sindacati. Questi negoziati non sono semplici dialoghi tra datore di lavoro e lavoratori, ma si basano su diritti e doveri legalmente protetti. L’articolo 28 della Costituzione giapponese garantisce ai lavoratori il diritto di associazione, il diritto alla contrattazione collettiva e il diritto all’azione collettiva (diritto di sciopero). A concretizzare questi diritti costituzionali è la Legge giapponese sui Sindacati, che impone ai datori di lavoro il dovere di rispondere in modo sincero ai negoziati collettivi con i rappresentanti dei lavoratori. Pertanto, la gestione dei negoziati collettivi non è una questione facoltativa per le aziende, ma rappresenta un aspetto cruciale della conformità legale. Se un datore di lavoro rifiuta i negoziati senza una giustificazione valida, ciò può essere considerato un “atto di lavoro ingiusto” e può portare a sanzioni legali. Questo articolo fornisce una spiegazione esaustiva del quadro legale dei negoziati collettivi in Giappone, coprendo gli attori coinvolti, le questioni trattate, le procedure specifiche e le misure di rimedio legale in caso di rifiuto dei negoziati. L’obiettivo è aiutare le aziende a gestire correttamente i rischi legali e a costruire relazioni lavorative costruttive.
Le basi legali della negoziazione collettiva in Giappone
Le obbligazioni degli datori di lavoro in materia di negoziazione collettiva sono profondamente radicate in due normative giapponesi: la Costituzione del Giappone e la Legge sui Sindacati. Innanzitutto, l’articolo 28 della Costituzione giapponese stabilisce che “il diritto dei lavoratori di unirsi e di condurre negoziazioni collettive e altre azioni collettive è garantito”, posizionando il diritto alla negoziazione collettiva come un diritto umano fondamentale. Questa disposizione si basa sul riconoscimento che esiste uno squilibrio strutturale di potere negoziale tra i singoli lavoratori e i datori di lavoro. La legge mira a creare una situazione in cui i lavoratori, unendosi e negoziando collettivamente, possano discutere le condizioni di lavoro su un piano di parità con i datori di lavoro.
La Legge sui Sindacati giapponese traduce questo principio costituzionale in obbligazioni concrete per i datori di lavoro. Di particolare importanza è il sistema delle “azioni lavorative ingiuste” stabilito dall’articolo 7 della legge. Le azioni lavorative ingiuste si riferiscono a specifiche azioni da parte dei datori di lavoro che interferiscono con le attività sindacali e sono proibite dalla legge. In termini di negoziazione collettiva, l’articolo 7, paragrafo 2, della Legge sui Sindacati vieta esplicitamente ai datori di lavoro di “rifiutare senza giustificato motivo di negoziare collettivamente con i rappresentanti dei lavoratori impiegati”. Questa disposizione concretizza il diritto alla negoziazione collettiva dei lavoratori come un obbligo per i datori di lavoro di “partecipare alla negoziazione collettiva”. La presenza di questo obbligo legale rende la negoziazione collettiva non un semplice dialogo facoltativo, ma un processo con forza coercitiva legale.
I soggetti della negoziazione
Affinché una negoziazione collettiva sia legalmente valida, è essenziale identificare con precisione chi sono le parti in causa.
La parte dei lavoratori è solitamente rappresentata da un sindacato che soddisfa i requisiti della Legge sui Sindacati del Giappone (Japanese Trade Union Law). L’articolo 6 di tale legge stabilisce che i rappresentanti del sindacato o coloro che ne hanno ricevuto l’incarico hanno il diritto di negoziare con il datore di lavoro per conto dei membri del sindacato. Sebbene l’articolo 28 della Costituzione non limiti il soggetto negoziatore ai soli sindacati, permettendo così a gruppi di lavoratori temporanei, come i comitati di disputa, di avere il diritto di condurre negoziazioni collettive, per essere protetti dal sistema di rimedi contro le pratiche lavorative ingiuste previsto dalla Legge sui Sindacati, è necessario essere un sindacato riconosciuto da tale legge.
La parte del datore di lavoro, ovvero il soggetto che ha l’obbligo di negoziare, non è limitata al solo datore di lavoro contrattuale. Il termine “datore di lavoro” nella Legge sui Sindacati del Giappone è interpretato in modo più ampio e può estendersi oltre la struttura organizzativa dell’impresa, con la possibilità di attribuire responsabilità. Un caso guida in questo senso è la sentenza della Corte Suprema del Giappone del 28 febbraio 1995 (1995) relativa al caso Asahi Broadcasting. In questo caso, una stazione televisiva è stata chiamata a negoziare collettivamente da un sindacato di dipendenti di un’azienda subappaltatrice, che non era impiegata direttamente dalla stazione. La Corte Suprema ha stabilito che “anche un imprenditore che non sia il datore di lavoro può essere considerato come tale ai sensi dell’articolo in questione, nella misura in cui si trova in una posizione che gli permette di controllare e decidere in modo reale e concreto sulle condizioni lavorative fondamentali di quei lavoratori, anche se solo parzialmente”.
Questa sentenza ha stabilito il concetto di “datore di lavoro parziale”. Di conseguenza, ad esempio, se una società madre ha un potere decisionale sostanziale sui sistemi salariali e sugli orari di lavoro dei dipendenti di una filiale, tale società madre può essere considerata il “datore di lavoro” con l’obbligo di negoziare collettivamente con il sindacato della filiale. Questo principio impone la responsabilità agli enti che esercitano un’influenza sostanziale sulle condizioni di lavoro, senza permettere loro di sottrarsi all’obbligo di negoziare per ragioni formali legate alla complessa struttura di capitale o alle relazioni di outsourcing del gruppo aziendale. Pertanto, le imprese devono valutare con attenzione in che misura sono coinvolte nelle condizioni di lavoro dei dipendenti delle società affiliate o dei partner commerciali.
Ambito delle materie negoziabili
Quando un sindacato richiede una negoziazione collettiva, il datore di lavoro non è obbligato a negoziare su ogni questione. Le materie negoziabili si dividono legalmente in “materie obbligatorie di negoziazione collettiva”, su cui il datore di lavoro è tenuto a negoziare, e “materie facoltative di negoziazione collettiva”, su cui può scegliere di negoziare. Questa distinzione è estremamente importante per determinare se il rifiuto di negoziare costituisca un’azione antisindacale illecita.
Le materie obbligatorie di negoziazione collettiva sono generalmente definite come “questioni relative alle condizioni di lavoro e ad altri trattamenti dei lavoratori membri del sindacato, nonché alla gestione delle relazioni collettive di lavoro, su cui il datore di lavoro può decidere”. Specificamente, includono questioni relative alle condizioni di lavoro come salari, bonus, liquidazioni, orario di lavoro, giorni di riposo, sicurezza e salute, compensazione in caso di disastri. Inoltre, standard e procedure relative al personale, come licenziamenti, sanzioni disciplinari e trasferimenti, sono considerate materie obbligatorie di negoziazione collettiva perché influenzano direttamente il trattamento dei lavoratori. Anche le regole relative alla gestione delle relazioni tra sindacati e datori di lavoro, come gli accordi di union shop e la fornitura di servizi per gli uffici sindacali, rientrano in questa categoria.
D’altra parte, le materie facoltative di negoziazione collettiva si concentrano principalmente su questioni puramente gestionali o produttive, i cosiddetti “diritti esclusivi di gestione”. Ad esempio, decisioni gestionali come l’introduzione di nuove tecnologie, il trasferimento di fabbriche, la nomina di direttori o la ristrutturazione aziendale non sono di norma incluse nelle materie obbligatorie di negoziazione collettiva. Allo stesso modo, richieste di riforme legislative o questioni politiche, su cui il datore di lavoro non può decidere o disporre autonomamente, sono considerate facoltative.
Tuttavia, il confine tra queste due categorie non è sempre chiaro. Anche se una decisione gestionale appartiene ai diritti esclusivi di gestione, può avere un impatto diretto sull’occupazione o sulle condizioni di lavoro dei dipendenti. Ad esempio, la decisione di chiudere una fabbrica è una materia facoltativa di negoziazione collettiva, ma le conseguenze di tale decisione, come i licenziamenti o i trasferimenti dei dipendenti, sono cambiamenti nelle condizioni di lavoro e quindi diventano materie obbligatorie di negoziazione collettiva. Pertanto, il datore di lavoro ha l’obbligo di negoziare con il sindacato sugli impatti delle sue decisioni gestionali sui lavoratori. Riconoscere questo obbligo di negoziare sugli “impatti” è parte integrante della gestione del rischio legale essenziale quando si attuano ristrutturazioni aziendali su larga scala.
Categoria | Materie obbligatorie di negoziazione collettiva | Materie facoltative di negoziazione collettiva |
Definizione | Questioni relative alle condizioni di lavoro e alla gestione delle relazioni collettive di lavoro, su cui il datore di lavoro può decidere e disporre. | Questioni che appartengono esclusivamente ai diritti di gestione o che sono al di fuori dell’autorità di controllo del datore di lavoro. |
Esempi specifici | Salari, bonus, liquidazioni, orario di lavoro, licenziamenti, sanzioni disciplinari, sicurezza e salute, trasferimenti, union shop, regole delle attività sindacali. | Strategie di gestione, metodi di produzione, nuovi investimenti, personale direttivo, questioni politiche, condizioni di lavoro dei non sindacalizzati (con eccezioni). |
Obbligo legale | Il datore di lavoro è tenuto a negoziare in buona fede. Il rifiuto ingiustificato costituisce un’azione antisindacale illecita. | Il datore di lavoro può decidere a sua discrezione se negoziare o meno. Il rifiuto non costituisce un’azione antisindacale illecita. |
Il Processo di Negoziazione Collettiva: Linee Guida Procedurali
Quando un datore di lavoro riceve una richiesta di negoziazione collettiva da un sindacato, è necessario rispondere in modo sistematico e strategico, tenendo presente gli obblighi legali. L’intero processo è soggetto a valutazione per determinare se soddisfa il “dovere di negoziazione in buona fede” menzionato di seguito, pertanto è richiesta un’attenzione particolare ad ogni fase.
Inizialmente, il sindacato di solito avanza la richiesta di negoziazione inviando al datore di lavoro un documento come la “richiesta di negoziazione collettiva”. Non si deve mai ignorare la ricezione di tale documento. L’azione immediata da intraprendere è analizzare la natura del sindacato richiedente (sia esso interno all’azienda o un sindacato esterno), i dipendenti che ne fanno parte (attualmente impiegati o ex dipendenti) e il contenuto delle questioni negoziali richieste.
Successivamente, prima di iniziare le vere e proprie negoziazioni, si svolge una “pre-negoziazione” per stabilire le regole amministrative. Qui si concordano la data, il luogo, il numero di partecipanti e la durata delle negoziazioni. Strategicamente, può essere saggio stabilire come luogo delle negoziazioni una sala riunioni esterna all’azienda per evitare impatti sugli altri dipendenti e prevedere un limite di tempo di circa due ore per prevenire giudizi affrettati dovuti a negoziazioni prolungate.
Parallelamente alla pre-negoziazione, è fondamentale prepararsi internamente. Si indaga approfonditamente sui fatti oggettivi relativi alle richieste del sindacato e si organizzano i documenti di prova (ad esempio, in caso di richieste di pagamento di straordinari non retribuiti, si raccolgono cartellini timbrati e buste paga). In seguito, si analizza la posizione legale dell’azienda, si definiscono i possibili esiti finali delle negoziazioni e i margini di concessione, e si allinea la strategia tra i negoziatori. È cruciale che alle negoziazioni partecipi un membro dello staff con potere decisionale; la presenza esclusiva di rappresentanti senza autorità, che evitano di fornire risposte concrete, può essere vista come un segno di negoziazione in mala fede.
Il giorno delle negoziazioni, è essenziale mantenere un atteggiamento calmo e razionale. Si devono evitare risposte emotive o spiegazioni false, insistendo invece sulla posizione aziendale basata su fatti e fondamenti legali. Per registrare accuratamente il corso e il contenuto delle negoziazioni, è utile redigere un verbale dettagliato e, se possibile, registrare l’audio con il consenso di entrambe le parti.
Se le negoziazioni portano a un accordo (conclusione), si documenta il contenuto in un “contratto collettivo di lavoro” o in un “accordo scritto”. In questa fase, è estremamente importante includere una “clausola di liquidazione” per confermare che non esistono altri crediti o debiti reciproci oltre agli elementi concordati, al fine di prevenire future dispute. Se le negoziazioni falliscono, il sindacato potrebbe passare a misure successive come azioni di protesta, scioperi, ricorsi alla commissione del lavoro o azioni legali, quindi anche il datore di lavoro deve prepararsi a tali eventualità.
Il rifiuto della negoziazione collettiva e le sue conseguenze secondo il diritto giapponese
Quando un datore di lavoro rifiuta la richiesta di negoziazione collettiva o si avvicina alla negoziazione con un atteggiamento non sincero, si trova di fronte a seri rischi legali. Questi rischi possono concretizzarsi attraverso due percorsi distinti: procedimenti amministrativi e azioni civili.
In primo luogo, l’obbligo del datore di lavoro non si limita semplicemente a partecipare al tavolo delle trattative. La legge impone un “dovere di negoziazione in buona fede”, che mira alla formazione di un accordo attraverso discussioni sincere. In particolare, si richiede di ascoltare le argomentazioni del sindacato, spiegare la posizione dell’azienda fornendo motivazioni e documentazione e, se necessario, presentare alternative. Un atteggiamento che si limita a ripetere unilateralmente le affermazioni dell’azienda può essere valutato come una violazione del dovere di negoziazione in buona fede, ovvero come un atto di lavoro ingiusto. A questo proposito, la Corte Suprema del Giappone ha stabilito, nella sentenza del 18 marzo 2022 (2022) relativa al caso dell’Università di Yamagata, che il dovere di negoziazione in buona fede del datore di lavoro persiste anche se sembra che non ci sia prospettiva di raggiungere un accordo, e che la commissione del lavoro può ordinare di negoziare sinceramente.
Le “ragioni legittime” che consentono al datore di lavoro di rifiutare la negoziazione sono interpretate in modo estremamente limitato dalla legge. Ad esempio, si possono considerare situazioni in cui il sindacato ha creato un ambiente in cui non è possibile una discussione normale attraverso l’uso di violenza o minacce, o casi in cui, dopo lunghe trattative, entrambe le parti hanno esaurito le loro argomentazioni e si è giunti a un completo stallo (impasse) riconosciuto oggettivamente. Tuttavia, motivazioni come “il sindacato è un’organizzazione esterna”, “le richieste sono eccessive” o “la stessa questione è oggetto di contenzioso in tribunale” non sono generalmente riconosciute come ragioni legittime.
Se il sindacato ritiene che il datore di lavoro abbia rifiutato la negoziazione senza una giusta causa o abbia condotto negoziazioni non sincere, può intraprendere due principali rimedi.
Uno è la presentazione di un ricorso amministrativo alla commissione del lavoro della prefettura. Ricevuto il ricorso, la commissione conduce indagini e audizioni (interrogando le parti e i testimoni) e, se ritiene che ci siano stati atti di lavoro ingiusti, emette un “ordine di rimedio” nei confronti del datore di lavoro. Questo ordine può imporre azioni specifiche come “partecipare alla negoziazione collettiva” e rappresenta un intervento diretto nell’attività aziendale. Se il datore di lavoro non è soddisfatto di questo ordine, può presentare una richiesta di riesame alla commissione centrale del lavoro o avviare un’azione legale per l’annullamento dell’ordine.
L’altro rimedio è l’avvio di un’azione civile presso un tribunale. La violazione del diritto alla negoziazione collettiva è considerata un atto illecito ai sensi del codice civile giapponese, e il sindacato può richiedere un risarcimento danni al datore di lavoro. Infatti, il tribunale distrettuale di Nagoya, con la sentenza del 25 gennaio 2012 (2012), ha ordinato a una società di pagare 2 milioni di yen di danni per aver rifiutato la negoziazione collettiva, e il tribunale distrettuale di Kyoto, con la sentenza dell’8 dicembre 2023 (2023), ha ordinato a una città di pagare 300.000 yen per lo stesso motivo.
È importante notare che questi due procedimenti sono indipendenti l’uno dall’altro. Il sindacato può richiedere un ordine di rimedio alla commissione del lavoro e allo stesso tempo avviare un’azione legale per il risarcimento danni presso un tribunale. Questo doppio rischio illustra l’entità dell’impatto legale ed economico che una risposta inadeguata alla negoziazione collettiva può avere su un’impresa.
Riassunto
La negoziazione collettiva nel diritto del lavoro giapponese è un obbligo legale inevitabile per i datori di lavoro, radicato nel diritto costituzionale. Di fronte a una richiesta di negoziazione da parte di un sindacato, è essenziale comprendere accuratamente l’entità e gli argomenti in questione e rispondere in modo onesto e conforme alle procedure legali per gestire i rischi legali. Rifiutare la negoziazione o rispondere in modo disonesto può portare a gravi conseguenze, come ordini di rimedio da parte della commissione del lavoro o ordini di risarcimento danni da parte dei tribunali.
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