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Il divieto di pratiche lavorative ingiuste nel diritto del lavoro giapponese

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Il divieto di pratiche lavorative ingiuste nel diritto del lavoro giapponese

Nella gestione aziendale, il rapporto con i lavoratori è un elemento di fondamentale importanza. In particolare, il rapporto con i sindacati è essenziale per costruire relazioni industriali sane. Il sistema legale giapponese promuove la parità di trattamento tra lavoratori e datori di lavoro nelle negoziazioni, stabilendo un quadro specifico. Al centro di questo sistema c’è il divieto di “atti di lavoro sleale” definito dalla Legge sui Sindacati del Giappone (Japanese Trade Union Law). Questo sistema mira a garantire sostanzialmente i diritti fondamentali dei lavoratori, come il diritto di associazione, il diritto alla contrattazione collettiva e il diritto all’azione collettiva, che sono protetti dalla Costituzione del Giappone. Azioni specifiche che violano questi diritti da parte dei datori di lavoro sono severamente proibite dalla legge e, in caso di violazione, possono comportare responsabilità legali. Le azioni che possono essere considerate atti di lavoro sleale variano dal licenziamento o dal trattamento svantaggioso di un membro del sindacato, al rifiuto ingiustificato di negoziare collettivamente, fino all’intervento improprio nell’operato del sindacato. Se tali azioni vengono intraprese, i lavoratori o i sindacati possono cercare rimedi attraverso un organo amministrativo specializzato chiamato Commissione del Lavoro o attraverso i tribunali. Attraverso queste procedure, i datori di lavoro possono essere ordinati a ripristinare la situazione originale o a pagare danni, il che può avere un impatto significativo sulla reputazione e sulla situazione finanziaria dell’azienda. Pertanto, per i dirigenti e i responsabili legali delle aziende che operano in Giappone, è essenziale comprendere lo scopo del sistema di atti di lavoro sleale, il contenuto specifico delle azioni proibite e le procedure di rimedio in caso di violazione, al fine di gestire i rischi legali e mantenere una gestione aziendale stabile. Questo articolo fornisce una spiegazione esaustiva del sistema di atti di lavoro sleale, dalla sua base legale, ai tipi di azioni proibite, fino alle procedure di rimedio.  

Le basi e gli scopi del sistema di rimedio per atti di lavoro ingiusti sotto il diritto giapponese

Il fondamento legale del sistema di rimedio per atti di lavoro ingiusti risale alla Costituzione del Giappone. L’articolo 28 della Costituzione giapponese garantisce ai lavoratori i diritti fondamentali di unirsi in sindacati, di condurre negoziati collettivi e di intraprendere azioni collettive (i tre diritti del lavoro). Per rendere concreti e efficaci questi diritti costituzionali, è stata promulgata la Legge sui Sindacati del Lavoro del Giappone.

L’articolo 1 della Legge sui Sindacati del Lavoro del Giappone stabilisce chiaramente il suo scopo. Secondo questo articolo, la legge mira a “migliorare la posizione dei lavoratori promuovendo la loro capacità di negoziare su un piano di parità con i datori di lavoro”. Il concetto di “parità di condizioni” è estremamente importante per comprendere il sistema di rimedio per atti di lavoro ingiusti. I singoli lavoratori tendono ad essere in una posizione più debole rispetto ai datori di lavoro nelle relazioni di forza economiche. Pertanto, la legge ritiene essenziale che i lavoratori si uniscano in sindacati e negozino collettivamente come forza collettiva per mantenere e migliorare le condizioni di lavoro e la loro posizione economica.

Per raggiungere questo scopo, l’articolo 7 della Legge sui Sindacati del Lavoro del Giappone elenca specificamente certe azioni che potrebbero violare i diritti di associazione dei lavoratori e altri diritti correlati, definendole “atti di lavoro ingiusti” e vietandole. In altre parole, il sistema di rimedio per atti di lavoro ingiusti non è semplicemente un insieme di divieti, ma un intervento sistematico proattivo per proteggere sostanzialmente i tre diritti del lavoro garantiti dalla Costituzione e per bilanciare le relazioni di potere tra datori di lavoro e lavoratori. Grazie a questo sistema, i sindacati possono operare senza timore di pressioni ingiuste da parte dei datori di lavoro e sedersi al tavolo del dialogo per la negoziazione collettiva. Pertanto, la base di questo sistema risiede nei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, e il suo scopo è realizzare una relazione di negoziazione equa tra datori di lavoro e lavoratori. Comprendere questo punto è essenziale per afferrare lo spirito della legge che sta dietro alle singole proibizioni e per gestire correttamente le relazioni di lavoro.

I tipi di pratiche lavorative ingiuste proibite dalla Legge Giapponese sui Sindacati

L’articolo 7 della Legge Giapponese sui Sindacati classifica e specifica quattro tipi di pratiche lavorative ingiuste che i datori di lavoro non devono commettere. Queste disposizioni proteggono varie fasi dell’attività sindacale, dalla formazione e gestione dei sindacati, alle negoziazioni collettive, fino alle richieste di intervento.

Il trattamento svantaggioso basato sull’appartenenza sindacale ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1 della Legge sui Sindacati Giapponesi

L’articolo 7, paragrafo 1 della Legge sui Sindacati in Giappone proibisce ai datori di lavoro di licenziare o altrimenti trattare in modo svantaggioso i lavoratori per i seguenti motivi:

  • Essere membro di un sindacato
  • Aver tentato di aderire a un sindacato
  • Aver tentato di formare un sindacato
  • Aver compiuto azioni legittime all’interno di un sindacato

Il “trattamento svantaggioso” menzionato qui non si limita a misure gravi come il licenziamento. Include anche la declassificazione, la riduzione dello stipendio, la discriminazione in promozioni o avanzamenti di carriera, trasferimenti svantaggiosi, valutazioni discriminatorie dei bonus e molestie sul posto di lavoro, ovvero qualsiasi azione che possa arrecare svantaggi economici o di status ai lavoratori.

Affinché si configuri un atto di lavoro ingiusto, è necessario che l’azione del datore di lavoro sia stata compiuta “con motivo”, ovvero per ragioni legate alle attività sindacali sopra menzionate. Questo implica che il datore di lavoro abbia agito con “intenzione di lavoro ingiusto”, un elemento soggettivo che indica un’azione basata su motivazioni antisindacali, ma la cui prova non è semplice. Pertanto, nella pratica, l’intenzione di lavoro ingiusto viene dedotta da varie prove circostanziali oggettive. Ad esempio, il fatto che il datore di lavoro abbia abitualmente mostrato avversione verso il sindacato, che il trattamento svantaggioso sia avvenuto immediatamente dopo l’adesione a un sindacato o un’attività sindacale specifica, che le ragioni di necessità aziendale addotte per giustificare il trattamento svantaggioso siano irragionevoli, o che esista una differenza irragionevole nel trattamento tra membri e non membri del sindacato, sono tutti elementi importanti che possono indicare l’intenzione di lavoro ingiusto.

Inoltre, lo stesso paragrafo proibisce anche “di rendere la non adesione o il ritiro da un sindacato una condizione di impiego”. Questo è noto come “contratto giallo” ed è chiaramente illegale in quanto viola direttamente il diritto di associazione dei lavoratori.

In relazione a questo punto, è sorta la questione del rapporto con la libertà di assunzione nel caso di JR Hokkaido/JR Freight (sentenza della Corte Suprema del 22 dicembre 2003). Questo caso si è verificato in un contesto particolare, quello della privatizzazione delle ferrovie nazionali, e la Corte Suprema ha stabilito che il rifiuto di assunzione da parte della nuova società non costituisce immediatamente un atto di lavoro ingiusto. Tuttavia, questa sentenza non implica che la libertà di assunzione del datore di lavoro sia assolutamente illimitata. Se il rifiuto di assumere un particolare lavoratore è basato sul fatto che è membro di un sindacato, con l’intento di esercitare un controllo o un intervento sul sindacato, in circostanze particolari, rimane la possibilità che si configuri un atto di lavoro ingiusto.

Il rifiuto ingiustificato di negoziazione collettiva ai sensi dell’articolo 7, comma 2 della Legge Giapponese sui Sindacati

Secondo l’articolo 7, comma 2 della Legge Giapponese sui Sindacati, è vietato “rifiutare senza giustificato motivo di condurre negoziazioni collettive con i rappresentanti dei lavoratori impiegati”. Questa disposizione garantisce sostanzialmente il diritto alla negoziazione collettiva, che è una delle attività più importanti per i sindacati.

La violazione di questa disposizione non si limita al chiaro rifiuto di una proposta di negoziazione collettiva da parte del sindacato. Include anche il cosiddetto “rifiuto sleale di negoziare”, che si verifica quando si partecipa al tavolo delle trattative ma si rifiuta sostanzialmente di negoziare. Esempi tipici di rifiuto sleale di negoziare includono:

  • Far partecipare alle negoziazioni solo persone che non hanno il potere decisionale.
  • Ignorare completamente le argomentazioni e le richieste del sindacato, ripetendo solo le proprie affermazioni senza mostrare alcuna volontà di dialogo.
  • Rifiutare senza motivo valido di fornire documentazione di base sulla situazione finanziaria dell’azienda durante le negoziazioni salariali.
  • Protrarre ingiustamente le date delle negoziazioni collettive utilizzando come scusa l’eccessivo carico di lavoro.

Le “giustificate ragioni” che consentono al datore di lavoro di rifiutare la negoziazione collettiva sono interpretate in modo molto restrittivo. Ad esempio, motivazioni come “le richieste del sindacato sono eccessive”, “tra i negoziatori ci sono dirigenti di organizzazioni esterne all’azienda” o “in questo momento siamo troppo impegnati” non sono generalmente considerate valide. Questi argomenti dovrebbero essere discussi proprio nel contesto delle negoziazioni collettive.

Un caso in cui è stata messa in discussione l’ambito di applicazione di “datore di lavoro” è stato l’incidente di Asahi Broadcasting (sentenza della Corte Suprema del Giappone del 28 febbraio 1995). In questo caso, una stazione televisiva ha rifiutato di negoziare collettivamente con i lavoratori interinali di una società subappaltatrice con cui non aveva un rapporto di lavoro diretto. La Corte Suprema ha stabilito che, anche se non si è il datore di lavoro diretto, se si ha una posizione che permette di controllare e decidere in modo realistico e concreto sulle condizioni di lavoro fondamentali dei lavoratori, si ha l’obbligo di negoziare collettivamente nei limiti di tale controllo, come previsto dalla Legge sui Sindacati. Questo precedente è diventato un’importante linea guida per determinare chi dovrebbe essere parte nelle negoziazioni in un’epoca in cui le forme di lavoro sono sempre più variegate.

È importante notare che l’obbligo imposto dalla legge ai datori di lavoro è quello di aderire al “processo” di negoziazione in buona fede, non di produrre il “risultato” di accettare le richieste del sindacato. Anche se il datore di lavoro rifiuta le richieste del sindacato, deve spiegare concretamente le ragioni del rifiuto e presentare alternative, dimostrando uno sforzo sincero per raggiungere un accordo. Se questo processo viene seguito, anche se non si raggiunge un accordo finale, si considera che il dovere di negoziare in buona fede sia stato adempiuto.

Intervento di controllo e assistenza finanziaria nella gestione dei sindacati secondo l’articolo 7, comma 3 della Legge sui Sindacati Giapponese

L’articolo 7, comma 3 della Legge sui Sindacati in Giappone mira a garantire l’autonomia dei sindacati, vietando “qualsiasi atto di controllo o intervento nella formazione o nella gestione di un sindacato da parte dei lavoratori” e “qualsiasi assistenza contabile nel pagamento delle spese per la gestione di un sindacato”.

Con “intervento di controllo” si intende qualsiasi azione del datore di lavoro che influenzi le decisioni o le attività del sindacato, compromettendo la sua autonomia. Queste azioni possono assumere varie forme, ma tra gli esempi tipici possiamo citare:

  • Azioni volte a ostacolare la formazione di un sindacato o a incoraggiare i membri a lasciare il sindacato.
  • Azioni che scoraggiano l’attività sindacale con dichiarazioni come “se ti dedichi solo alle attività sindacali, influenzerà la tua promozione”.
  • Azioni che favoriscono la formazione di un secondo sindacato cooperativo con l’azienda o che discriminano un particolare sindacato (discriminazione tra sindacati).
  • Azioni che ingiustamente ostacolano le legittime attività sindacali (come la distribuzione di volantini o l’organizzazione di assemblee).

Spesso si discute se le dichiarazioni del datore di lavoro costituiscano un intervento di controllo. A questo proposito, il caso Prima Ham (sentenza della Corte Suprema del 10 settembre 1982) ha fornito un importante criterio di giudizio. Secondo questa sentenza, per stabilire se le dichiarazioni del datore di lavoro costituiscano un atto di lavoro ingiusto, è necessario “valutare complessivamente il contenuto delle dichiarazioni, i mezzi e i metodi di presentazione, il momento della dichiarazione, la posizione e lo status del dichiarante e l’impatto delle dichiarazioni, e determinare se tali dichiarazioni abbiano un effetto intimidatorio sui membri del sindacato e influenzino l’organizzazione e la gestione del sindacato”. In altre parole, anche se formalmente si tratta di espressioni di opinioni, se sostanzialmente intimidiscono i membri del sindacato e disturbano l’unità del sindacato, tali azioni sono valutate come intervento di controllo.

Inoltre, il divieto di “assistenza finanziaria” mira a prevenire la dipendenza economica dei sindacati dai datori di lavoro, che potrebbe impedire loro di agire autonomamente. Tuttavia, l’articolo 7, comma 3 della Legge sui Sindacati Giapponese prevede eccezioni all’assistenza finanziaria consentita. Queste includono la partecipazione a negoziati collettivi durante l’orario di lavoro retribuito (check-off), donazioni a fondi di beneficenza e la fornitura di un ufficio di dimensioni minime. Queste azioni sono eccezionalmente permesse in quanto contribuiscono alla gestione di relazioni industriali sane.

Il trattamento svantaggioso per rappresaglia in base all’articolo 7, paragrafo 4 della Legge Giapponese sui Sindacati

L’articolo 7, paragrafo 4 della Legge Giapponese sui Sindacati (日本の労働組合法第7条第4号) vieta ai datori di lavoro di licenziare o altrimenti trattare in modo svantaggioso i lavoratori per il fatto che hanno presentato un reclamo per pratiche lavorative ingiuste alla Commissione del Lavoro, fornito prove o testimoniato nel corso del procedimento di esame.  

Questa disposizione è stata istituita per garantire l’efficacia del sistema di rimedio contro le pratiche lavorative ingiuste. Se i lavoratori fossero soggetti a rappresaglie semplicemente per aver cercato un rimedio, si ritrarrebbero e non sarebbero in grado di utilizzare il sistema. Pertanto, la legge vieta esplicitamente tali atti di rappresaglia.  

La protezione offerta da questa disposizione non si limita solo all’atto di presentare un reclamo alla Commissione del Lavoro. Anche le azioni dei lavoratori che testimoniano o presentano prove durante le indagini o le udienze della Commissione del Lavoro sono ugualmente protette. Se si verifica una violazione di questa disposizione, il trattamento svantaggioso può essere considerato nullo, allo stesso modo del trattamento svantaggioso di cui al paragrafo 1.  

Procedure di Rimedio per Condotta Illecita nel Lavoro sotto il Diritto Giapponese

Quando un datore di lavoro commette una condotta illecita nel lavoro, i lavoratori o i sindacati colpiti possono cercare un rimedio legale per ripristinare i loro diritti. Nel sistema legale giapponese, sono principalmente disponibili due procedure di rimedio. Una è il “rimedio amministrativo” attraverso un organo amministrativo specializzato chiamato Commissione del Lavoro, mentre l’altra è il “rimedio giudiziario” attraverso i tribunali.

Il Ricorso Amministrativo presso la Commissione del Lavoro in Giappone

La Commissione del Lavoro è un organo amministrativo specializzato nella risoluzione dei conflitti tra lavoratori e datori di lavoro, composto da rappresentanti dell’interesse pubblico, dei lavoratori e dei datori di lavoro. Il ricorso amministrativo contro le pratiche lavorative ingiuste inizia con la presentazione di un reclamo presso la Commissione del Lavoro competente. Il procedimento segue generalmente i seguenti passaggi:

  1. Presentazione del reclamo: entro un anno dalla data dell’azione lavorativa ingiusta, il lavoratore o il sindacato presenta una richiesta di intervento alla Commissione del Lavoro della prefettura competente. Non sono previste tasse per la presentazione del reclamo.
  2. Indagine: una volta accettato il reclamo, un esaminatore della Commissione del Lavoro ascolta entrambe le parti, organizza le affermazioni e le prove e chiarisce i punti di contesa. A questo stadio, spesso si tenta di raggiungere una soluzione tramite conciliazione.
  3. Audizione: dopo che i punti di contesa sono stati chiariti durante l’indagine, si tiene un’audizione simile a un’aula di tribunale aperta al pubblico. Qui si procede all’interrogatorio delle parti e dei testimoni e si raccolgono le prove per stabilire i fatti.
  4. Ordinanza: al termine dell’audizione, dopo una deliberazione collettiva dei commissari pubblici, la Commissione del Lavoro emette un’ordinanza. Se le affermazioni del richiedente sono accettate e si riconosce l’esistenza di un’azione lavorativa ingiusta, viene emessa un’ordinanza di soccorso. Se le affermazioni non sono accettate, viene emessa un’ordinanza di rigetto.

Il contenuto dell’ordinanza di soccorso varia a seconda del caso, ma si basa sul principio del ripristino dello stato originario prima dell’azione lavorativa ingiusta. Ad esempio, in caso di licenziamento ingiusto, può essere ordinato l’annullamento del licenziamento, il rientro sul posto di lavoro (ripristino della posizione originale) e il pagamento di un importo equivalente allo stipendio per il periodo di licenziamento (back pay). In caso di rifiuto di negoziazione collettiva, può essere ordinato di impegnarsi in negoziazioni collettive in buona fede. In caso di intervento nella gestione, può essere ordinato di vietare azioni simili in futuro e di esporre scuse o altri avvisi all’interno dell’azienda (ordinanza di post-notice).

Le parti che non accettano l’ordinanza della Commissione del Lavoro possono richiedere una revisione alla Commissione Centrale del Lavoro, un organo nazionale, o possono avviare un’azione legale presso il tribunale per l’annullamento dell’ordinanza.

Rimedi giuridici privati attraverso il tribunale in Giappone

Oltre alle procedure della commissione del lavoro, i lavoratori e i sindacati possono cercare direttamente il rimedio dei loro diritti privati attraverso il tribunale. Le pratiche di lavoro sleale non solo violano le regolamentazioni del diritto pubblico, come la Legge sui Sindacati, ma influenzano anche le relazioni legali di diritto privato.

In primo luogo, gli atti giuridici che costituiscono pratiche di lavoro sleale (ad esempio, licenziamenti basati sull’attività sindacale) sono comunemente ritenuti invalidi in base all’articolo 90 del Codice Civile giapponese, poiché contrari allo spirito dell’articolo 28 della Costituzione del Giappone e alla Legge sui Sindacati, e quindi contrari all’ordine pubblico. Pertanto, i lavoratori licenziati possono intentare una causa in tribunale per confermare il loro status contrattuale di lavoro (la conferma che la loro posizione come dipendenti continua) e per il pagamento dei salari per il periodo in cui non hanno potuto lavorare.

Inoltre, le pratiche di lavoro sleale possono costituire un atto illecito in quanto violano illegalmente i diritti dei lavoratori e dei sindacati, e quindi possono configurare un torto ai sensi dell’articolo 709 del Codice Civile giapponese. In questo caso, i lavoratori e i sindacati possono richiedere al datore di lavoro un risarcimento per danni monetari, come il risarcimento per l’angoscia mentale subita a causa delle pratiche di lavoro sleale. Infatti, ci sono stati casi in cui il tribunale ha ordinato il risarcimento dei danni per il rifiuto di negoziare collettivamente.

Così, i rimedi amministrativi e giudiziari esistono come percorsi di rimedio indipendenti con scopi e procedure diverse.

Confronto tra rimedi amministrativi e giudiziari in Giappone

Per quanto riguarda i rimedi contro le pratiche lavorative ingiuste, esistono sia il rimedio amministrativo, attraverso la Commissione del Lavoro, sia il rimedio giudiziario, attraverso i tribunali. Tuttavia, entrambi presentano differenze significative in termini di scopo, procedura ed effetto. La scelta tra uno dei due procedimenti, o l’utilizzo di entrambi in parallelo, rappresenta una decisione strategica sia per i datori di lavoro che per i lavoratori.

Il rimedio amministrativo, ovvero la procedura di esame condotta dalla Commissione del Lavoro, ha come obiettivo principale il “rapido ripristino dell’ordine nelle relazioni collettive di lavoro”. Di conseguenza, la procedura non è rigida come un processo giudiziario, ma è progettata per essere più flessibile e veloce. Un altro vantaggio è che non ci sono costi per presentare una richiesta e l’intervento di commissari esperti nelle relazioni di lavoro favorisce la conciliazione basata sulla realtà delle situazioni. Gli ordini di rimedio emessi dalla Commissione del Lavoro mirano a correggere direttamente la situazione lesa, ordinando azioni specifiche come il reintegro nel posto di lavoro o l’ordine di negoziare collettivamente.

D’altra parte, il rimedio giudiziario, ovvero la procedura legale nei tribunali, ha come scopo principale la definizione legale dei diritti e dei doveri tra le parti e il risarcimento dei danni attraverso compensazioni monetarie. La procedura segue rigide procedure legali e le responsabilità di affermazione e prova sono chiaramente stabilite. La risoluzione può richiedere molto tempo e i costi, come quelli degli avvocati, tendono ad essere elevati. Tuttavia, le sentenze hanno forza di legge definitiva e, nel caso di debiti pecuniari, è possibile l’esecuzione forzata, che rappresenta un effetto potente.

Queste differenze richiedono, dal punto di vista dei datori di lavoro, diverse strategie di rischio e di risposta. Presso la Commissione del Lavoro, sebbene sia possibile aspettarsi una risoluzione rapida, possono essere emessi ordini difficili da accettare per l’azienda, come i post-notice. Nei tribunali, è possibile una difesa rigorosa basata sulla logica legale, ma in caso di sconfitta, possono essere ordinati il pagamento di ingenti danni o arretrati, con la possibilità di danneggiare gravemente la credibilità economica e sociale dell’azienda.

La tabella seguente confronta le principali caratteristiche di entrambi i sistemi.

CaratteristicheRimedio amministrativo (Commissione del Lavoro)Rimedio giudiziario (Tribunali)
Scopo principaleRipristino rapido dell’ordine nelle relazioni di lavoroDefinizione legale dei diritti e doveri, risarcimento monetario
ProceduraIndagine, audizione (più flessibile del processo)Procedura legale formale (o giudizio del lavoro)
RapiditàGeneralmente più veloce del processoPuò richiedere molto tempo, spesso oltre un anno
CostiNessuna tassa di presentazione richiestaTassa di presentazione, costi legali tendenzialmente elevati
Contenuto del rimedioOrdini flessibili (reintegro, ordine di negoziare collettivamente, post-notice, ecc.)Sentenze di invalidità degli atti legali, ordini di risarcimento danni e pagamento dei salari
Forza esecutivaSanzioni come multe per il mancato adempimento di ordini confermatiEsecuzione forzata basata sulla sentenza

Riassunto

Come descritto in dettaglio in questo articolo, il sistema di contrasto alle pratiche lavorative ingiuste è un pilastro fondamentale del diritto del lavoro in Giappone, volto a concretizzare i diritti fondamentali dei lavoratori garantiti dalla Costituzione giapponese. L’articolo 7 della Legge Giapponese sulle Unioni dei Lavoratori proibisce severamente specifiche azioni da parte dei datori di lavoro, come il trattamento svantaggioso basato sull’appartenenza sindacale, il rifiuto ingiustificato di negoziare collettivamente e l’intervento nella gestione del sindacato. In caso di violazione di queste disposizioni, le aziende possono affrontare gravi rischi legali, come ordini di correzione da parte della Commissione del Lavoro, sentenze di nullità degli atti giuridici da parte dei tribunali e la responsabilità per danni. Questi rischi possono avere un impatto diretto sulla situazione finanziaria e sulla reputazione sociale dell’azienda, rendendo essenziale la costruzione di un sistema di compliance preventivo.

Lo studio legale Monolith ha un’esperienza consolidata nel fornire consulenza approfondita su questioni complesse di diritto del lavoro, inclusa la lotta contro le pratiche lavorative ingiuste, a una vasta gamma di clienti in Giappone. Nel nostro team abbiamo esperti che, oltre alla qualifica di avvocato giapponese, possiedono anche qualifiche legali straniere e parlano inglese, permettendo loro di comprendere profondamente le sfide uniche che le aziende affrontano nell’espansione delle loro attività a livello internazionale. Siamo in grado di offrire un supporto legale completo e strategico, dalla gestione appropriata delle negoziazioni collettive e dalla preparazione delle normative interne, alla valutazione dei rischi lavorativi e alla rappresentanza in caso di reclami per pratiche lavorative ingiuste.

Managing Attorney: Toki Kawase

The Editor in Chief: Managing Attorney: Toki Kawase

An expert in IT-related legal affairs in Japan who established MONOLITH LAW OFFICE and serves as its managing attorney. Formerly an IT engineer, he has been involved in the management of IT companies. Served as legal counsel to more than 100 companies, ranging from top-tier organizations to seed-stage Startups.

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